None di giugno
La lettiga si arrestò proprio davanti alla Basilica Giulia, in pieno Foro, e Aurelio balzò fuori seguito dall'inseparabile Servilio. Se Castore non si era sbagliato, l'udienza sarebbe cominciata da lì a poco.
Il patrizio non aveva fretta di entrare e si attardava pigro sui gradini del tribunale; per l'occasione aveva indossato la toga di gala, ornata dal laticlavio. Immodestamente, pensava di saperla portare con la necessaria eleganza: se ne vedevano anche troppe, di toghe svolazzanti, cadere dalle spalle come stracci da bucato... chi ormai poneva più cura nei lisciare le pieghe e raccoglierle armoniosamente attorno al braccio?
Due o tre matrone riccamente abbigliate lo salutarono con promettente interesse. Per tutte Aurelio ebbe un sorriso, una frase galante, un complimento originale.
- Allora, vanesio, non ti sembra l'ora di andare? – lo richiamò Servilio. - Sei qui per assistere a un'udienza o per far la corte alle signore?
La sala era gremita, come sempre quando l'oratore era Sergio Maurico.
Il pubblico spintonava per vederlo, come fosse un divo del teatro; e, in realtà, non c'era poi molta differenza tra il modo in cui il grande oratore perorava le sue cause e l'esibizione di un istrione: grida, fremiti, gesti irruenti, nulla veniva risparmiato per commuovere i giudici.
- ...Dal giorno in cui il prode Mario sottomise Giugurta... - stava declamando in quel momento il principe del Foro.
A differenza di molti colleghi, Sergio non leggeva le arringhe, ma le pronunciava a memoria, come se stesse recitando.
- ...Catone sostenne, a proposito di Cartagine... già il perfido Catilina... la Lex Remnia, la Lex Publicia e la Lex Iulia...
- Be', non so di cosa stia parlando, ma sembra davvero competente - giudicò Aurelio. - Deve aver studiato per anni.
- Vuoi scherzare? - replicò Servilio. - Quello non sa nulla di diritto: ha un'intera corte di giureconsulti alle sue dipendenze, per preparare le cause. Lui recita quel che gli passano, e basta. È un esperto di effetti a sorpresa... Attento, sta per prodursi in uno dei suoi numeri migliori: il compianto per l'ingiustizia umana!
- ...La dea Temi, dal sacro Olimpo... - declamava, verbosissimo, il retore.
- Ma, esattamente, in che cosa consiste l'accusa? – chiese Aurelio, che non si raccapezzava in mezzo a tutti quei riferimenti storici e mitologici.
- Adulterio: un tale ha denunciato la moglie che lo tradiva con un suo impiegato - spiegò Servilio.
- E quello scomoda Cincinnato e Scipione, nonché l'intero Pantheon, per un affare di corna?
- È così che si vincono le cause, caro mio! Pensa che i greci arrivavano a inventarsi persino delle leggi inesistenti, contando sull'ignoranza dei giudici... Ecco, sembra che stia per concludere - annunciò Servilio, cercando di veder qualcosa tra le teste del pubblico.
- Dixerunt! - esclamò in quel momento un membro del collegio dei magistrati, sancendo la fine delle arringhe. Con infinita pazienza, Aurelio dovette però assistere alle ulteriori fasi degli interrogatori e della probatio.
Finalmente, tra le grida festose degli astanti, fu decretata l'inappellabile sentenza.
Poco dopo, il postulante, nero in volto, uscì senza una parola, seguito dai suoi legali. Sergio, una volta ancora, aveva vinto.
- Eccolo laggiù, in mezzo ai suoi accoliti – indicò Servilio, additando un capannello di togati che si accalcavano attorno al leguleio. - E quella dev'essere l'imputata...
La donna stava in quel momento contemplando il suo salvatore con sguardo adorante, e si capiva bene che non vedeva l'ora di manifestargli la propria gratitudine in separata sede.
- Il vecchio volpone è molto sensibile alle adulazioni. Vieni! - lo trascinò Servilio.
- Ave, Maurico: ottima arringa davvero!
- Senatore Stazio! - esclamò l'avvocato. - Ah, ma c'è anche Tito Servilio... siete qui per una causa?
- No, no, volevamo soltanto assistere a una tua declamazione: sono così pochi, oggi, i buoni oratori... - spiegò Aurelio con laida piaggeria.
- Avreste dovuto avvertirmi; potevo farvi avere un posto più comodo. Be', se non c'è altro... valete!- salutò il principe del Foro, visibilmente desideroso di tornarsene dalla sua bella cliente.
- Veramente, qualcos'altro ci sarebbe... - lo interruppe Aurelio, con un sorriso smaccatamente cortese. - L'omicidio di Chelidone.
- Niente da fare, non difendo gladiatori. In ogni caso, il colpevole sarà trucidato dalla folla inferocita ancor prima di arrivare in tribunale.
- Però conosci bene Nissa, l'amante della vittima...
- E chi non la conosce? Tutta Roma ha avuto occasione di contemplarla senza veli! - rise Maurico.
- Ma non in casa propria - precisò il patrizio con innocente candore.
Maurico, indispettito, ebbe un moto di rabbia e si lasciò sfuggire di mano i rotoli di appunti, che subito Aurelio si precipitò a raccogliere con sollecitudine, tentando di sbirciarne il testo.
Chissà che cosa voleva, quell'impiccione, si chiese l'avvocato, perplesso. Publio Aurelio Stazio, il senatore. Lo conosceva, certo: un ricco aristocratico con la fastidiosa abitudine di curiosare, che in vita sua non aveva fatto altro che leggere libri e correr dietro alle donne... e adesso, chissà per quale ragione, si metteva a ficcare il naso in affari dai quali avrebbe fatto bene a star lontano.
- A che titolo Nissa ti ha confidato la nostra amicizia, se posso saperlo? Fai forse parte della cerchia dei suoi intimi? - chiese in tono secco, e intanto rifletteva intensamente: il senatore Stazio aveva fama di occuparsi soltanto di ricevimenti e di circoli letterari, ma forse, in alto loco, contava più di quanto sembrasse in apparenza...
- No, magari! Sono andato a trovarla in veste ufficiale, come procuratore incaricato da Claudio di indagare sulla morte di Chelidone - lo informò il senatore con studiata indifferenza.
Al nome del divino Cesare, l'oratore mise da parte ogni atteggiamento ostile e fissò Aurelio con stupore: procuratore di Claudio, quel vagheggino da poco... - Immagino che vorrai parlare anche con me - si affrettò quindi a mettersi a disposizione.
- Non c'è fretta, Sergio, a tuo comodo... E tralasciamo le formalità. Perché incontrarci in un freddo tablinum , quando sarebbe tanto più semplice scambiare due chiacchiere sdraiati davanti a una buona cena? Ortensio, il mio cuoco, è un vero mago dei fornelli!
- Ti ringrazio, ma preferisco che sia tu a venire da me, assieme a Tito Servilio. Non vorrete negarmi il piacere di essere miei ospiti!
- Se insisti... - accettò il senatore. - In questo caso, sarebbe carino farci trovare la deliziosa Nissa.
Servilio sentì il cuore balzargli in gola: dunque l'avrebbe rivista...
- Contaci. Vi aspetto la vigilia delle Idi – concluse Maurico, con fare sbrigativo, e si allontanò.
- Sacra Afrodite, devo cominciare a prepararmi! – scattò Servilio, angustiato. - Che dici, mi consigli di stare a dieta?
- Pochi giorni di digiuno potrebbero non bastare... – tergiversò Aurelio, contemplando la mole imponente dell'amico.
- Magari con qualche massaggio... mi presti il tuo Sansone? Ho bisogno di un uomo energico.
- Se lo credi opportuno... - replicò Aurelio, dubbioso.
A suo tempo, in effetti, Sansone - uno schiavo gigantesco dai modi alquanto bruschi - era stato acquistato in qualità di massaggiatore; adesso, tuttavia, dopo aver massacrato un bel po' di legamenti con le sue manipolazioni selvagge, svolgeva nella domus di Aurelio le più prudenti funzioni di facchino, nell'adempimento delle quali non mancava comunque di causare parecchi danni.
- Allora vengo subito a casa tua - concluse Servilio. - E, senti, sarebbe meglio che Pomponia non ne sapesse niente; potrebbe interpretare la cosa a modo suo, mi capisci...
- Anche troppo - mugugnò Aurelio, che dall'infatuazione del suo amico per la bella mima non si aspettava niente di buono. - Ecco i portatori con la lettiga, saliamo.
- No, vai tu. Ti raggiungo a piedi: un po' di moto mi farà bene - dichiarò Servilio con decisione eroica. E i nubiani partirono al piccolo trotto, seguiti dal grosso cavaliere che arrancava ballonzolando dietro la portantina.
- Sento degli urli strazianti provenire dalla palestra. Hai forse messo qualcuno alla tortura? - chiese Castore, entrando nella sala da bagno.
- Servilio è convinto che un trattamento d'urto gli farà perdere peso... - spiegò Aurelio, riemergendo con un brivido dal frigidarium.
- Be', in un paio di mesi, se ha la costanza di continuare, si dovrebbero vedere i primi risultati - considerò il liberto, porgendo al suo dominus una salvietta bollente.
- Già, ma Tito ha solo pochi giorni! - chiarì il patrizio, raccontando a Castore l'incontro con Maurico.
- A cena con la diva, magnifico! - fischiò il greco. - Pensi che figurerei bene con la tua clamide dorata? Mette in risalto i miei tratti ellenici...
Aurelio tacque: il levantino, recalcitrante a obbedire fin dai tempi in cui era schiavo, dopo la manomissione era di gran lunga peggiorato. Da quando poi aveva ottenuto, in compenso dei suoi preziosi servigi, di prendersi in casa Xenia, la ladra matricolata con cui faceva coppia, i due degni compari spadroneggiavano nella domus senza alcun ritegno, come se ne fossero i legittimi proprietari. Quel servo riottoso aveva bisogno di una lezione, non lo avrebbe certo portato con sé!
- Cosa ti fa supporre di essere invitato? - chiese severamente.
- Un impeccabile segretario greco dà sempre un certo tono, domine... - temporeggiò il liberto. - Soprattutto quando è abile, sottile, e sa tenere le orecchie bene aperte.
- Tu però sei fuori esercizio, Castore. Sono secoli che non mi porti una notizia interessante - ribatté il patrizio.
- Le scommesse che Maurico si è intascato con la morte di Chelidone ti potrebbero interessare? - sussurrò il servo con aria scaltra.
Aurelio balzò in piedi: Castore, decisamente, aveva sempre qualche freccia nel suo arco.
- Dimmi!
- Ho alcuni amici tra gli allibratori... Il nostro leguleio aveva puntato mille sesterzi su Quadrato, l'avversario di Chelidone.
- Mille sesterzi su quel poveraccio... c'è sotto qualcosa.
- Lo appurerò facilmente domani sera, indagando tra la servitù - promise il fido liberto, assicurandosi l'invito.
In quel momento, apparve sulla soglia una figura spettrale, intabarrata fino ai piedi in un candido telo. Il povero Servilio, la fronte madida di sudore, si lasciò cadere come un sacco d'orzo sul bordo marmoreo della vasca.
- Uff... - sbuffò, facendosi aria. Il lenzuolo scivolò indietro e dalle pieghe emerse un braccio illividito.
- Quel Sansone ha la mano pesante - si lamentò il cavaliere.
- Ti prepari per tempo, Servilio... - constatò Aurelio, preoccupato. - Hai già deciso cosa indossare?
- Pensavo a una ricca tunica di lino traforato, e, sopra, una veste cenatoria molto vivace, guarnita di parecchi ricami d'oro e di argento - progettò il cavaliere.
Castore tossicchiò: - Domine, il tuo gusto è eccellente, ma se permetti, vorrei suggerirti qualche particolare di contorno, nell'assoluto rispetto delle tue scelte, naturalmente...
- Sì, sì, Castore, consigliami tu! - si raccomandò Servilio.
- Ti vedrei bene con una dalmatica sobria, di una sfumatura cenere, atta a snellire e a coprire le lividure...
- Ottima idea! E che ne diresti di una mantellina rossa per rallegrare l'insieme?
- Una frivola laena? - scosse la testa l'incontentabile greco. - No, meglio una cappa scura, molto discreta, o magari una lacerna.
- Ma... non sembrerò troppo vecchio?
- Le ragazze giovani soggiacciono facilmente al fascino di un uomo maturo. Anzi, correggi il taglio dei capelli: è decisamente troppo sbarazzino.
Servilio, senza esitare, si precipitò da Azel, il tonsore di Aurelio, un effeminato siro-fenicio di mezza età che avrebbe dedicato l'intero pomeriggio all'operazione di aggiustamento.
- Cinque a uno che in meno di due settimane Servilio avrà conquistato la diva - propose il liberto, tentando la mano.
I quiriti erano degli inguaribili scommettitori: nell'Urbe si puntava su tutto e su tutti, dalle corse delle bighe agli amanti dell'imperatrice, e nemmeno Aurelio si sottraeva a questa inveterata abitudine.
- Vuoi rovinarti, Castore? - si stupì il patrizio. Non esisteva la benché minima possibilità che il buon cavaliere facesse breccia con Nissa...
- Due denarii d'argento come posta! - insistette il greco.
- Ammetti pure che Tito canti vittoria. Come posso sapere se dice la verità? - ribatté il senatore.
- Farà testo una prova, qualcosa di molto personale che appartenga all'attrice; un capo di biancheria intima, non so, magari una fascia mamillare o da inguine... Pagherai solo se Servilio sarà in grado di portartela!
Aurelio assentì, chiedendosi, come sempre quando aveva a che fare con l'astuto liberto, dove stesse l'imbroglio.
Porse dunque la mano, e subito se ne pentì: con quella somma in palio, Castore ce l'avrebbe messa tutta per favorire l'opera di seduzione, e se Pomponia se ne fosse accorta... No, la cotta del buon cavaliere doveva essere stroncata sul nascere, a cominciare proprio dal banchetto!